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Guardare al passato, per vincere nel futuro

9 Giu 2013

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Intervista a Carlo Cracco, uno dei cuochi italiani più attivi nella ricerca del nuovo e nella divulgazione della cucina italiana d’autore all’estero.

Vicentino, 43enne, allievodi Gualtiero Marchesi, influenzato dall’estro di Ducasse e Senderens, si definisce “il più conservatore dei creativi” e al minimalismo sono improntati il suo ristorante e il suo stile di cucina. È uno dei grandi protagonisti della cucina italiana, molto apprezzato anche all’estero e particolarmente in Spagna, nuova frontiera della cucina d’autore, e la sua quotidiana ricerca non deriva dal gusto del bizzarro, non si perde in un gioco speculativo, non vuole limitarsi a sorprendere, ma trasmette vera emozione a chi siede alla sua tavola.

In piatti particolari, come gli Spaghetti fritti, pomodoro e basilico, in abbinamenti calibrati quanto imprevedibili, come Rognone e ricci di mare, in elaborazioni tecniche decisamente ardue, come la Sfoglia di bianco d’uovo, Carlo Cracco si dimostra sempre uno sperimentatore coraggioso. Da 6 anni ha interrotto la collaborazione con i titolari della rinomata gastronomia Peck e il suo ristorante, a pochi passi da piazza del Duomo, oggi porta solo il suo nome, Ristorante Cracco, e brilla di due stelle Michelin.

Che tipo di rapporto hai con latua clientela?

“Nel nostro lavoro il contatto con le persone è la cosa più bella che c’è. Hai a che fare con il mondo. E quando riesci a interagire bene, quando vedi che la gente ai tavoli è felice, allora è il massimo. Gli hai dato da mangiare e da bere, li hai fatti spendere, e sono contenti. Vuol dire che tutto ha funzionato bene, dal servizio alla cucina e anche ai prezzi”.

Già, i prezzi. Molti lamentano che l’alta cucina in Italia è troppo cara, tu che cosa ne pensi?

“Che non è vero. In Francia o in Germania si spende il doppio che da noi e in Inghilterra tre volte tanto. Eppure, il costo del lavoro è più alto in Italia che in altri Paesi. Il fatto che mangiare al ristorante, soprattutto di un certo livello, sia costoso è dovuto non tanto al fatto che i cuochi e il ristorante guadagnano, ma al fatto che i costi per avere e mandare avanti un’attività di questo genere sono altissimi. Dai muri del locale, ai costi del personale di professionalità e numero adeguato e, soprattutto, al fatto che un ristorante dovrebbe essere sempre aperto e invece in Italia lo è solo per poche ore. A New York, per esempio, i ristoranti aprono alle 17.30 e in poco più di mezz’ora hanno persone che cominciano a mangiare e bere. Ed è giusto, perché molti preferiscono mangiare presto per poi passare la serata a teatro o al cinema. Alle undici di sera è più facile che preferiscano andare a mangiare una pizza che non nel grande ristorante. È una cosa che avrebbe un senso economico anche da noi, perché tenendo aperto più a lungosi abbatterebbero i costi”.

Sei spesso invitato a partecipare a congressi ed eventi gastronomici all’estero: che immagine ha nel mondo la cucina italiana?

“Noi italiani dobbiamo portare avanti il nostro stile, rafforzare la nostra presenza negli eventi importanti e dare veramente un valore a quella che è la nostra cucina, che è una delle poche, insieme alla francese, a potersi definire “mondiale”, nel senso che in qualunque parte del globo si vada, la cucina italiana c’è. Penso però che la nostra ristorazione d’alto livello sia più avanti rispetto a quella che è la percezione che se ne ha all’estero. La ristorazione italiana è cambiata tantissimo negli anni e con essa i ristoranti e i cuochi. Oggi, c’è un gruppo veramente grande, fatto di giovani e meno giovani, che portano avanti un discorso di cucina completamente nuovo e che darà soddisfazioni solo se sapremo “fare squadra”. In questo risiede l’immagine della nostra cucina e anche il nostro futuro, per cui tanto più lo coltiviamo oggi tanto più avremo dei benefici in futuro. Non possiamo sempre sperare che siccome la cucina italiana è buona e piace a tutti, allora sarà sempre così. No, bisogna farla crescere, evolvere, portarla avanti”.

Che cosa ne pensi della nuova cucina e stile spagnolo? È una moda o una scuola?

“Lo stile “spagnolo” lanciato da Adrià, ripreso oggi in tutto il mondo, è un po’ più di una moda, perché esiste già da quasi dieci anni. Se fosse stata una moda, sarebbe già tramontata. Comunque, non lo definirei uno stile spagnolo, perché Ferran è catalano e quello che fa rappresenta solamente se stesso e non i cuochi di un intero Paese. Rappresenta solo il suo pensiero, è una cucina personale, che ha un’impronta molto individuale”.

Una cucina che sta però facendo molti proseliti…

“Certo, proprio come in passato ha fatto la nouvelle cuisine, quando è arrivata in Italia o in America. Per nostra fortuna, credo, in Italia la cucina di Adrià ha attecchito, ma in modo abbastanza blando; nel senso che tutti ne hanno rispetto e seguono tutta questa evoluzione, però poi alla fine ognuno cerca di emergere con le proprie capacità e personalità. Come di tutte le mode o movimenti che si sono sviluppati negli anni nel nostro settore, si è detto e si dice “peste e corna”, ma ciò non toglie che abbiano rivoluzionato e portato tante cose nuove e positive. Lo stesso vale per questa cucina un po’ estrema, che personalmente non amo particolarmente ma che stimo, perché fatta da un professionista al quale va riconosciuto il merito di portare avanti un percorso molto forte, carico di cambiamenti. Sarà il tempo a dire che cosa rimarrà o meno di tutto questo”.

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